I lavori didattici di Grazia Galante
Grazia Galante, nell'ambito dell'attività didattica quale insegnante di Materie Letterarie presso vari istituti scolastici del comprensorio garganico e, in particolare, nella locale Scuola Media Statale "Francesca De Carolis", interessandosi di tradizioni popolari e di quanto mette in evidenza il carattere, la mentalità e il cuore del popolo sammarchese, ha trovato e trova modo di coltivare questi interessi culturali con i suoi alunni che spesso diventano fattivi collaboratori nella ricerca e nell'analisi di materiale folcloristico, affidato per lo più alla tradizione orale e predestinato, pertanto, alla graduale scomparsa nel tempo.
Tutti i seguenti libretti li ha realizzati nell’ambito delle attività didattiche con i suoi alunni nelle diverse scuole medie in cui ha insegnato.
Lavori nati e realizzati nell'ambito delle attività scolastiche:
Scuola Media Statale "N. D'Apolito" di Cagnano Varano anni scolastici di insegnamento 1977 - 1981
La II E racconta...
Questo è stato il primo lavoro fatto con i miei alunni. Ha fatto da cavia la classe II E della Scuola Media Statale “Nicola D’Apolito” di Cagnano Varano dell’anno scolastico 1978-79. Gli alunni, dopo aver parlato del loro paese e della loro scuola, si sono impegnati nel ricercare alcuni detti e proverbi, quali erano le superstizioni, le credenze e le usanze del popolo cagnanese. Inoltre si sono dati da fare nel ricercare le tradizioni nell’alimentazione del loro Paese. Non sono molte le cose recuperate, ma questo lavoro servì per rendere protagonisti anche gli ultimi della classe.
Scuola Media Statale "D'Alessandro" di Sannicandro Garganico anni scolastici di insegnamento 1981 - 1994
La cultura contadina nei proverbi
Era l’anno 1984/85 quando venne istituito il Tempo Prolungato nella scuola media. Scelsi quel tempo scuola perché mi sembrava più stimolante. Poiché il Tempo Prolungato prevedeva delle ore di compresenza, bisognava programmare come utilizzare quelle ore in più. Su suggerimento del maggiore linguista italiano Tullio De Mauro, decisi di fare con i miei alunni una ricerca sui proverbi di quel comune. Ne furono recuperati oltre cinquecento che poi furono raccolti nel presente ciclostilato.
La ricerca, partita come attività didattica ed in modo estemporaneo, alla fine si rivelò una miniera di notizie e di dati sulle abitudini e sui modi di dire della vecchia comunità contadina. Andando avanti mi resi conto che una parte di quei proverbi per la vicinanza e per una certa comunanza culturale, la si trovava anche nel dialetto sammarchese.
Nacque in me non solo una più intensa curiosità, ma anche una qual specie di obbligo morale ed intellettuale: quello di riportare alla luce e conservare un trascurato, ma vasto e significativo patrimonio di cultura che la forza demolitrice del tempo e lo sviluppo delle nuove tecnologie della comunicazione erano sul punto di seppellire, considerato che la forza della tradizione orale non riesce più ad arginare i mutamenti tumultuosi che investono anche culture e società periferiche o chiuse.
Nacque così la mia prima pubblicazione intitolata I proverbi popolari di San Marco in Lamis.
“La cultura contadina nei proverbi” è stato il primo classificato per il settore letteratura al concorso regionale indetto dall’AGIMUS di Sannicandro Garganico nell’anno 1987.
C'era una volta...
C’era una volta u metetore, u metajole, u sanapijatte, u lattare, u cardalana, u cavamonte, u carrettére ecc. Questi sono gli argomenti trattati in questo ciclostilato.
“La ricerca... ci ha fatto capire che fino agli anni ’50-60 a Sannicandro Garganico l’attività prevalente era l’agricoltura, ma anche l’artigianato era molto fiorente. Il boom industriale ha fatto diminuire il numero delle persone che svolgevano un’attività artigianale o agricola poiché le macchine hanno preso il sopravvento.
Abbiamo scoperto che prima il lavoro era molto più faticoso di oggi per questo c’era bisogno di molta forza fisica, però durante il lavoro c’era molta più spensieratezza, allegria. L’operaio, pure se guadagnava poco, lavorava in un ambiente salubre e aveva anche delle soddisfazioni poiché quasi ogni lavoro era creativo...”
Dalla Presentazione della classe III G
Questa ricerca ha avuto il primo premio (settore letteratura) nel concorso regionale organizzato dall’AGIMUS di Sannicandro Garganico.
Piccolo dizionario dialettale
"Siamo gli alunni della II A, una classe a tempo prolungato. Quest’anno l’insegnante di Lettere, prof.ssa Grazia Galante, ci ha proposto di fare un piccolo dizionario del nostro dialetto. Ci siamo messi subito all’opera. Ci siamo recati nella “Tèrra vécchia”, che è il quartiere più antico del nostro Paese, per cercare tra le persone anziane il maggior numero possibile di parole, ma soprattutto quelle ormai non più usate, più originali. Tutti ci hanno aiutati molto volentieri. L’idea che le parole dette da loro dovevano servire per fare un piccolo dizionario sannicandrese, sembrava che li facesse sentire più importanti.
Abbiamo raccolto un migliaio di vocaboli e ce ne sono tanti altri ancora da recuperare, questo vuol dire che il nostro dialetto è ricco dal punto di vista lessicale.
Nell’ora di compresenza di Lettere ed Educazione Artistica abbiamo illustrato alcuni vocaboli per rendere più bello il nostro lavoro.
La ricerca è stata utile e interessante perché abbiamo imparato nuovi termini dialettali e italiani e abbiamo fatto un’utile esercitazione linguistica quando traducevamo.
Attraverso questa ricerca noi vogliamo dare un aiuto ai forestieri che vivono nel nostro Paese e che spesso non capiscono ciò che noi diciamo. Per mezzo di questo lavoro noi abbiamo recuperato per sempre alcuni vocaboli che erano rimasti solo nella memoria di alcune persone anziane... “
Dalla Presentazione della classe II A dell’a.s. 1987-88
La medicina popolare
“... Dopo il Piccolo Dizionario Dialettale abbiamo voluto continuare la ricerca sulla cultura locale interessandoci di come i nostri nonni e bisnonni curavano le malattie quando la medicina era poco sviluppata e quei pochi farmaci esistenti costavano molto rispettto ai magri guadagni di allora...
Ci siamo recati nel centro storico di Sannicandro, "la Tèrra vécchia’", per intervistare le persone anziane e con somma meraviglia abbiamo appreso che esse, quando non stanno bene, usano ancora i rimedi di una volta.... Abbiamo conosciuto e apprezzato alcune competenze che avevano i nostri antenati: essi, se pure analfabeti, conoscevano per esempio che l’aglio è vermifugo infatti lo usavano per curare l’ossiuriasi e sapevano anche che esso è utile contro la pressione arteriosa alta. Abbiamo capito che, se le farmacie erano chiuse o se essi si trovavano in campagna, si potevano aiutare perché molti mali li curavano con l’olio, il miele e alcune erbe nostrane (malva, camomilla, origano, spaccapietra ecc.) .... Abbiamo capito che per curare alcune malattie non è necessario ricorrere ai prodotti chimici che, se fanno bene da una parte, danneggiano dall’altra, ma conviene ritornare ai rimedi naturali che sono più efficaci e sono innocui...
Il lavoro, suggerito e diretto dalle Insegnanti di Lettere e Scienze Matematiche, è stato svolto nelle ore di compresenza. In questa attività ognuno di noi ha lavorato con entusiasmo e ha dato un contributo notevole alla realizzazione di questo libretto.”
Dalla Presentazione della classe III A dell’a.s. 1988-89
Divertiamoci con i soprannomi
Dalla Presentazione della classe I F dell’a. s. 1989/90
“.... A questo lavoro abbiamo dedicato l’ultima ora del sabato. Ognuno di noi aspettava con ansia tale giorno perché questa attività per noi non era una perdita di tempo, ma era lavoro e divertimento contemporaneamente, infatti alcuni soprannomi da noi trovati ci facevano divertire. Dopo averli raccolti, li abbiamo classificati, messi in ordine alfabetico e poi trascritti a macchina. Anche questo lavoro è stato fatto da alcuni di noi capaci di farlo. In seguito ci siamo divertiti a rappresentare alcuni soprannomi, che a dire la verità i disegni non sono dei capolavori, ma noi ve li proponiamo lo stesso. Infine abbiamo scelto il titolo da dare al libretto: in palio ce n’erano una decina, tutti proposti da noi, ma molto democraticamente abbiamo votato quello che ad ognuno di noi sembrava più bello e più adatto. Anche per la scelta del disegno della copertina ci siamo comportati allo stesso modo.
Per noi questa attività è stata bella ed istruttiva. Abbiamo imparato, infatti, a lavorare insieme; abbiamo fatto una utile esercitazione d’italiano nello spiegare l’origine del soprannome; ci siamo arricchiti dal punto di vista lessicale, infatti nessuno di noi sapeva prima cosa significasse obeso, canuto ecc.; abbiamo conosciuto una parte della nostra tradizione; ciò che ci rende più felici, però, è la soddisfazione di vedere scritto i nostri nomi e cognomi come autori di questo libretto.
Abbiamo appreso che i nostri nonni, spesso analfabeti, chiamavano le persone che conoscevano non con il nome e il cognome, ma con il soprannome. Dobbiamo dire che facevano in fretta a inventarne uno, infatti ‘Còppela rosscia’ è il soprannome di un signore che un giorno uscì con un berretto rosso in testa, da allora non si è più liberato di questo soprannome. A dire la verità alcuni di essi sono divertenti come ‘Tarantèlla’ perché chi porta questo soprannome amava ballare la tarantella, altri sono un po’ offensivi come ‘U sceddate’ perché chi viene denominato così non camminava dritto a causa della scoliosi. Abbiamo capito che ai nostri antenati non mancava la fantasia.
Ancora oggi le persone di una certa età non si riconoscono se non per soprannome.
Noi speriamo che nella lettura di questo libretto, a cui ha lavorato tutta la classe, quando leggerete il vostro soprannome, non vi offendiate, ma vi divertiate così come è successo a noi...”
La classe I F
La nonna racconta
Dalla Introduzione
“Il nostro tempo è caratterizzato da una ricerca troppo frenetica di cose nuove senza curarci del passato. Noi pensiamo che l’uomo debba andare alla ricerca delle sue origini sia per comprendere meglio il presente, ma anche e soprattutto per fondare la sua esistenza non sui valori passeggeri, ma su quelli duraturi.
A tale scopo noi alunni della classe II F della Scuola Media Statale “Don Aristide D’Alessandro” di Sannicandro Garganico abbiamo voluto fare una ricerca per poter sapere come viveva quotidianamente la gente comune del nostro Paese.
Stimolati e guidati dalla nostra insegnante di Lettere Grazia Galante ci siamo messi all’opera. Andavamo da soli o in gruppo a casa delle persone anziane per intervistarle. In classe leggevamo ad alta voce ciò che avevamo appreso. Alla fine della lezione, a turno, ognuno di noi raccoglieva le diverse interviste per farne un collage e poi consegnarlo alla nostra insegnante.
Questo lavoro è stato interessante e affascinante poiché abbiamo appreso cose che non immaginavamo neanche. Siamo stati moolto colpiti dalla disponibilità delle persone anziane che molto volentieri si sottoponevano alle nostre interviste e che parlavano, però, con tanta nostalgia del tempo passato.
Esse ci hanno detto che nel passato c’era molta più miseria, più ignoranza, però tra le persone c’era più rispetto, più affetto, più amore.
Questo lavoro forse è stato l’unico che ha visto impegnati attivamente e in modo molto interessato tutti noi.”
La classe II F
Li paraule de mamma ròssa (I racconti della nonna)
“Per divertirci e farvi divertire, noi alunni della I F della Scuola Media Statale “D’Alessandro” di Sannicandro Garganico abbiamo fatto una raccolta, anche se non molto ricca, di fiabe, filastrocche, scioglilingua sannicandresi.
Ci siamo recati dai nonni e dalle persone anziane a cui abbiamo chiesto se volevano raccontarci qualche fiaba che avevano imparato quando erano bambini. Tutte le vecchiette ci hanno accolto con piacere ed erano ben felici di rimanere un po’ in nostra compagnia.
Il materiale raccolto lo abbiamo portato a scuola dove abbiamo deciso di riportare alcuni racconti in dialetto, per non farli perdere di efficacia, altri in italiano.
Abbiamo scoperto che le fiabe più conosciute hanno diverse versioni. Noi pensiamo che ciò sia successo perché, non essendoci un testo scritto a cui ricorrere in caso di dimenticanza, il narratore continuava il racconto aiutato dalla sua fantasia.
Abbiamo inserito in questo libretto, reso più bello dai disegni fatti da alcuni di noi, anche qualche filastrocca, qualche conta e alcuni scioglilingua.
Con questo libretto non solo vogliamo farvi divertire, ma vogliamo far conoscere a quelli che verranno dopo di noi una parte, se pure esigua, della cultura sannicandrese, che, se non scritta, rischia di scomparire.
A fine lavoro possiamo dire che questa ricerca, a cui abbiamo partecipato tutti, si è rivelata molto divertente, ma anche molto emozionante perché abbiamo notato che, quando le nostre nonnine raccontavano le fiabe, i loro occhi, ormai stanchi e malinconici, brillavano come due stelle del firmamento.”
Dalla Introduzione della classe I F dell’a. s. 1993-94
Scuola Media Statale "G. Pascoli" di San Marco in Lamis anni scolastici di insegnamento 1994 - 1996
Soprannomimania
“... Su proposta della nostra professoressa di Lettere abbiamo fatto la ricerca dei soprannomi sammarchesi. Dopo averne raccolti tanti, li abbiamo esaminati ed abbiamo scoperto che alcuni derivano dal mestiere esercitato es. Lu ferrare, La mammana; altri dalla provenienza o dal luogo in cui la persona ha dimorato per un po’ di tempo es. Lu sangiuuannare, Lu rignanése, Lu francése, Lu merecane; altri ancora dal comportamento come Favezone, Cécapucìne; altri da qualche difetto fisico es. Lu surde, Lu mute; altri ricordano il nome di qualche animale come Scarafone, Cardille; altri ancora i prodotti della terra es. Melone, Checòccia; altri, invece, sono dei nomi alterati come Carlicédde, Mechelone; altri derivano da cognomi o nomi poco diffusi come Salatédde, Secelijane, Bbonaventura, Bbettina; di alcuni soprannomi come Cugnettòla, Lebbringe non siamo riusciti a capire da dove derivano.
Dopo la classificazione, abbiamo preparato la Presentazione e con l’aiuto della nostra insegnante di Educazione Artistica anche i vari disegni. Questa attività, che ci ha fatto sentire protagonisti, ha coinvolto tutti, anche i più svogliati...”
Dalla Prentazione della classe II A della Scuola Media Statale “G. Pascoli” dell’a.s. 1994-95
I segreti delle erbe
Nelle ore di compresenza di Lettere e Scienze Matematiche abbiamo realizzato questo opuscolo. Prima di tutto ci siamo recati dai farmacisti da cui abbiamo saputo non solo che una volta la farmacia si chiamava speziarija perché lì si vendevano le spezie che servivano e servono per rendere più gustoso il cibo, ma anche che molte medicine venivano preparate dallu spezijale direttamente. Abbiamo appreso che nel passato si vendevano poche medicine, non perché non ci fossero i malati, ma perché mancavano i soldi per comprarle; che le persone chiamavano il medico quando la malattia era proprio grave. Allora ci siamo chiesti: “I nostri nonni come si curavano quando non avevano un male particolarmente grave?”
Abbiamo fatto una ricerca e abbiamo scoperto che i nostri antenati si curavano con ciò che avevano in casa, senza spendere soldi, anche perché non ne avevano. Curavano per esempio il male alle ossa strofinando il peperoncino sulla parte dolorante o mettendovi un panno di lana caldo; contro la tosse bevevano un decotto di malva dolcificato con lo zucchero o con il miele...
Con l’insegnante di Scienze Matematiche abbiamo esaminato alcune erbe presenti nelle ricette e abbiamo scoperto ad esempio che l’aglio è un ottimo disinfettante in quanto contiene iodio, zolfo e silicio, infatti le nostre nonne lo usavano per disinfettare la ferita provocata dalla puntura dell’ape...“
Dalla Presentazione della classe III A dell’a. s. 1995-96 della Scuola Media Statale “G. Pascoli” di San Marco in Lamis
La lavorazione del salice
“L’attività che ci ha visti impegnati per vari pomeriggi è stata la lavorazione del salice. Nostro insegnante è stato il sig. Leonardo Marchitto di 83 anni, che ci ha fatto sapere che ha imparato a intrecciare il salice quando aveva 8/9 anni grazie all’insegnamento del padre...
Leonardo, quando veniva a scuola ci raccontava tante cose. Da lui abbiamo saputo che a San Marco in Lamis c’erano una quarantina di persone che lavoravano il salice e anche il legno per farne degli oggetti utili per la casa. Erano quasi tutti pastori e potatori che, durante lo svolgimento della loro attività, se trovavano un bel pezzo di legno, lo conservavano per ricavarne poi nu daccialarde (tagliere), nu lavature (asse per lavare a mano), na stila de zappa (il manico di legno della zappa) ecc.
Attraverso una ricerca fatta da noi, abbiamo saputo che ci sono circa trecento tipi di salice. Quello che noi abbiamo utilizzato per fare dei cestini è il Salix viminalis che, come ci ha detto Leonardo, sta quasi scomparendo nella nostra zona per via dell’abbandono delle campagne e anche per colpa degli animali che vivono allo stato brado che distruggono tutto.
I rami di questa pianta vengono tagliati a marzo e ad agosto e vengono subito decoticati e fatti asciugare al sole per conservarli bianchi. Prima della lavorazione bisogna metterli in ammollo per alcune ore per poterli piegare a piacimento nella realizzazione di cestini, cesti, canestri per la frutta, impagliate e sottopentole di varie misure e forme.
Leonardo ci ha detto che prima dell’arrivo della plastica i cestini di vimini erano molto richiesti in quanto servivano sia in casa sia in campagna per mettere dentro quasi tutto ciò che si produceva. Le donne li utilizzavano per mettere la biancheria da stendere, per trasportare il pane al forno per la cottura e poi per mettere dentro alcune provviste. Quelli che li realizzavano guadagnavano poco per cui lo facevano come secondo lavoro che veniva svolto nel momenti liberi e soprattutto d’inverno quando in campagna non si poteva lavorare.
Oltre ad aver realizzato dei cestini e dei sottopentola che terremo per ricordo, questa esperienza è stata fantastica perché ha permesso l’incontro tra due generazioni. Noi con Leonardo ci siamo sentiti più grandi e lui con noi più giovane....”
Dalla Relazione della classe III A della Scuola Media Statale “G. Pascoli” dell’a.s. 1995-96
Scuola Media Statale "F. De Carolis" di San Marco in Lamis anni scolastici di insegnamento 1996 - 2008
La cucina sammarchese
Prefazione di Joseph Tusiani
“Gentilissima Professoressa Galante, c’è tanta verità nel detto: “Dimmi ciò che mangi e ti dirò chi sei.”
Poiché, nel corso di pochi anni, la nostra Italia è diventata nazione industriale e, come Lei ben sa, sta in tutto, anche nelle cose non buone, copiazzando la nazione industriale per antonomasia, che è l’America, è oggi di moda, nelle nostre città più laboriose, quali Milano e Roma, quel fast food, o cibo frettoloso, che caratterizza l’alimentazione del popolo statunitense. Ahimè, non si trova più il tempo di sedere a tavola a gustare le semplici delizie degli anni in cui tutto era genuino e salubre. Sono cambiate le cose e siamo cambiati anche noi.
Ecco perché plaudo a Lei e ai Suoi magnifici alunni per questo importantissimo capitolo della nostra civiltà sammarchese. Più che un ricettario gastronomico, Lei ci offre, con tratti essenziali e precisi, tutta la storia della nostra antica agricoltura. I Suoi alunni sapranno, un giorno, che ‘compagno’ è chi mangia lo stesso pane. E sapranno un’altra cosa ben più importante: attraverso la cucina i nostri emigrati sono rimasti attaccati alla terra d’origine.
E, a pensarci bene, c’è tanta squisita poesia nelle ricette da Lei elencate e, direi, strappate all’oblio. Ognuna di esse ricorda qualcosa di commuovente e di intimo, oltre alla parsimonia e alla saggezza della nostra gente: forse la mano delicata di una mamma o di una nonna, forse una festa, forse anche un funerale.
Dica ai Suoi alunni che il professore americano, che ieri ha avuto il piacere di rispondere alle loro domande sull’alimentazione, appunto, americana, torna ogni anno a San Marco per gustarsi un buon panecotte, ed è, dopo mezzo secolo di lontananza, più sammarchese che mai. Viva la “cucina sammarchese”! Joseph Tusiani
Questo libretto è stato premiato alla prima edizione della “Giornata del Gusto” indetta dall’Amministrazione Provinciale di Foggia e dal Consorzio Nazionale Prodotti Tipici di Fattoria
Li cunte - favole e racconti sammarchesi
Dalla Presentazione di Joseph Tusiani
“Credo in certe coincidenze. Avevo appena finito di rileggermi, dopo anni ed anni, le Piacevoli Notti dello Straparola quando mi è arrivata questa lieve raccolta di “Cunte” sammarchesi a cura degli alunni della Scuola Media “Francesca De Carolis” della mia Città natia. Me l’hanno inviata con preghiera di presentazione; e come potrei negarla, io che, da buon latinista, fermamente credo nel detto di Giovenale: Maxima debetur puero reverentia? E’ questa riverenza che mi fa addirittura sognare che da questi ragazzi emerga (e perché no?) un Giuseppe Pitrè della Puglia.
A differenza delle altre, la nostra Regione non ha ancora sentito il dovere di raccogliere e preservare dall’oblio le favole popolari di cui è ricco ogni nostro paese...
Ecco perché mi fa ben sperare l’opera di questi bravi alunni della “De Carolis”, ispirati dalla loro Professoressa d’Italiano, Grazia Galante. Con entusiasmo di pionieri essi hanno tracciato il primo solco. Ci sarà una seminagione? Ci sarà un raccolto? Me lo auguro. Essi, intanto, hanno già dimostrato una valentia davvero lodevole, considerando la loro inesperienza in un campo sì vasto ed arduo.
Hanno trascritto le favole ascoltate con una impressionante fedeltà alle varie fonti narrative, per cui viene trasmesso al lettore il senso più genuino della Fiaba, che è tutta e solo azione, azione rapida, azione pura; non v’è nulla, cioè, che sia rallentante descrizione o fronzolo ornamentale. Con fine intuito artistico hanno tutti, poi, sentito il bisogno di conservare, qui e lì, nei punti più vitali del racconto, il dialetto sammarchese, il che avviva e dà quasi il sigillo dell’autenticità al racconto stesso. Tutto questo non è da poco: anzi, è già tanto...
Grazie, dunque, gentili e cari alunni e alunne di mia terra....”
New York, marzo 1999 Joseph Tusiani
Piccolo dizionario sammarchese (a. s. 2000/2001 Classe II G)
Dalla Presentazione di Michele Coco
“Le ragioni dell’utilità di questo dizionarietto sammarchese sono elencate dai suoi giovanissimi autori nell’Introduzione.
Esso è servito, prima di tutto, a far conoscere loro la nostra cultura, la nostra storia, le nostre tradizioni. E ciò attraverso la lettura di pochi (purtroppo) libri di poesia scritti in dialetto dai nostri autori, e attraverso le interviste a persone che ancora lo parlano o solamente lo ricordano. Quando queste persone non ci saranno più, resteranno quei pochi libri l’unico repertorio della nostra lingua madre. O libri come questo dizionarietto, o come quello dei Proverbi di Pasquale Soccio, o infine come la meritevolissima raccolta delle ricette culinarie di San Marco in Lamis, dovuta a Grazia Galante.
In verità noi non abbiamo una cospicua tradizione letteraria dialettale. E quella che abbiamo è relativamente recente. Gli autori più antichi sono Serrilli e Napolitano. Poi sono venuti Borazio, Tusiani, Aucello. Tusiani soprattutto, continua a sorprenderci, regalandoci, quasi ogni anno, un poemetto nel nostro vernacolo, come se avesse ritrovato una vena che, iniziata a sgorgare con Làcreme e sciure è diventata sempre più fluente negli anni della lontananza.
Il dialetto, insomma, grazie a questi nostri autori, riesce a sopravvivere all’omologazione linguistica televisiva. E noi dobbiamo essere loro grati.
Il lavoro che qui si presenta ha sortito, inoltre, risultati validissimi sul piano pedagogico. I giovanissimi studiosi hanno imparato come si fa ricerca da soli o in gruppo, e hanno avuto la possibilità di allargare le loro conoscenze non solo nell’ambito della lingua madre, ma anche, attraverso l’esercizio della traduzione, nell’ambito della lingua colta.
Infine, i dizionarietto è stato allestito per gli altri, per “quelli che verranno dopo di noi”, e per coloro che non conoscono il nostro dialetto: duplice nobilissimo scopo. Potrebbe sembrare mera presunzione quella di volersi proiettare verso i posteri, ed è invece soltanto la legittima preoccupazione di chi vuole che le nostre parole, che poi dicono la nostra vita, non muoiano. E ancora l’orgoglio, altrettanto legittimo, di affermare la propria identità in un mondo in cui la globalizzazione tende a cancellarla.
Quella che i ventiquattro piccoli ricercatori hanno effettuato sotto la sapiente guida della loro insegnante Grazia Galante è un’opera altamente meritoria per i motivi che si è detto.. Ma è anche, per noi che non abbiamo perduto il gusto dell’uso, in certe occasioni, dell’espressione dialettale, un vero godimento....
Ben vengano, dunque, lavori di questo genere, e siano accolti con favore. Filologi e linguisti non arriccino il naso! Dopo tutto, essi sono il segno di un amore elettissimo alla nostra comune terra di origine.”
Michele Coco
Filastrocche e indovinelli sammarchesi
Dalla Presentazione di Francesco Granatiero
“... Alla presente raccolta di filastrocche, pregevole per accuratezza, ricchezza di materiali e correttezza di impostazione, va il mio plauso incondizionato, anche perché la sua preparazione ha permesso alla II G, a. s. 2002-03, l’acquisizione delle regole elementari della trascrizione del proprio dialetto, oltre che di una certa consapevolezza linguistica, e l’accostamento alla cultura popolare con i suoi risvolti di caratere sociale e pedagogico.”
Torino, marzo 2003 Francesco Granatiero
Il latte nella tradizione sammarchese
Dalla presentazione
“Dopo aver studiato l’alimentazione ed aver capito che il latte è un alimento completo per la sua composizione chimica, le nostre insegnanti di Lettere e di Scienze Matematiche (Galante e Tenace) hanno deciso di farci visitare la Centrale del Latte “Del Giudice” che si trova a Termoli (CB). Lì abbiamo visto che sia il latte destinato al consumo diretto sia quello destinato a produzioni diverse sono sottoposti ad una serie di operazioni, che conservano integre le qualità nutritive del prodotto e lo proteggono da alterazioni che potrebbero risultare nocive all’organismo umano.
Poi abbiamo visitato un’azienda agricola del Gargano dove i pastori, dopo aver munto a mano gli animali che vivono allo stato brado, mettono il latte in un grosso recipente di rame zincato (lu quacquie) posto sul fuoco per trasformarlo in caciocavallo, formaggio, mandèche, ricotta che sono di ottimo sapore, perché gli animali si nutrono di erba verde, ma non sono troppo sicuri dal punto di vista igienico....
Poiché l’argomento latte e i suoi derivati ci ha entusiasmato molto, abbiamo deciso con la nostra professoressa di Lettere di cercare la presenza del latte nella nostra cultura e nelle nostre tradizioni. Ci siamo attivati subito e, grazie alle notizie apprese dalle nostre nonne e bisnonne, abbiamo trovato ricette, canti, filastrocche, modi di dire, indovinelli, soprannomi, rimedi per curare alcuni malanni e qualche racconto, in cui sono presenti il latte e i suoi derivati, che abbiamo riportato in questo libretto.
Esaminando il materiale reperito, abbiamo capito che il latte e i suoi derivati, se pur presenti nell’alimentazione sammarchese, erano oggetto di desiderio come recitano i canti: Vurrija che cchiuvésse maccarune e nna muntagna de casce rasckate...; Vurrija tené nu zite ricche ricche: li casckavadde e lli presutte appise.
E’ stata un’esperienza scolastica interessante ed entusiasmante.”
I canti della valle
Dalla Presentazione di Maria Marcone
Bella, incantevole questa cittadina di San Marco in Lamis aggrappata ad un fiorito costone del Gargano, vivacissimi, pieni di curiosità e fieri di conoscenza i suoi abitanti, orgogliosi di sé e dei propri concittadini illustri, aperti alle novità, ma anche custodi delle memorie, consapevoli come sono che non c’è vero progresso se non quello che ha radici lontane e che non rinnega il meglio del passato....
Ho sotto gli occhi il frutto di una interessantissima ricerca compiuta da tutta la scolaresca della II G della Scuola Media “De Carolis” sotto la guida esperta della professoressa Grazia Galante sugli antichi canti e stornelli in lingua sammarchese raccolti per la maggior parte sulla bocca dell persone anziane che ancora per poco li conservano nella memoria come perle rare di un mondo che non esiste più.
Assai lodevole l’intenzione di questi giovanissimi ricercatori che sicuramente con amore e rispetto sono riusciti a far rivivere brandelli di memorie lontane e a trascriverli nonché a tradurli in italiano da consegnarli al ricordo dei posteri...
In questi antichi canti è racchiusa la più genuina anima sammarchese fatta di abitudini povere e di sentimenti eterni, l’amore la passione la satira lo scherzo l’animosità, la maldicenza la rabbia, la fame, ecc.
Il dialetto sammarchese... è una vera lingua colorita ricca e gradevole all’udito, ed è meritoria l’impresa dei nostri giovani autori che ne hanno salvato i canti ed anche in parte i motivi musicali, riuscendo così a consegnarci un pezzo di storia che stava per essere sommerso dall’onda lunga dell’oblio.
“Bravi, ragazzi, - voglio dire a ciascuno di loro - in questo mondo che gira sempre più veloce, sappiate ogni tanto guardarvi indietro per recuperare il buono e il bene profuso nel nostro patrimonio etnico-culturale.”
E buona fortuna! Maria Marcone
I rimedi della nonna
Dalla presentazione
“L’opportunità di fare questo libretto ci è stata offerta dal progetto ‘Helianthus’ sulla conoscenza e la salvaguardia dell’ambiente.
Il progetto è stato articolato in due momenti: conoscenza della flora della Valle di Stignano ed uso delle piante ivi presenti nella cura delle malattie.
Insieme alle professoresse Galante e Tenace abbiamo visitato la Valle per conoscere e raccogliere le erbe di quella zona che, poi, sotto la guida della professoressa Angela Tenace, insegnante di Scienze Matematiche, abbiamo classificato e poi fatte essiccare per farne un piccolo erbario. E’ stata un’esperienza straordinaria per tutti noi.
La professoressa Grazia Galante, docente di Lettere, invece, ci ha proposto di fare una ricerca per sapere come i nostri antenati utilizzavano quelle erbe per curare le malattie, quando c’erano poche medicine e soprattutto mancavano i soldi per comprarle.
Abbiamo accolto la proposta con molto entusiasmo e subito ci siamo messi al lavoro intervistando nonni, bisnonni, zii, parenti e conoscenti vari.
Siamo rimasti molto stupiti nello scoprire che quello che noi oggi buttiamo una volta era utilizzato. Abbiamo appreso che per curare le emorroidi applicavano un impiastro preparato con la scorza del melograno; il bernoccolo scompariva applicandovi sopra una moneta o il giornale bagnato; lo stelo del prezzemolo, insieme ad una scaglietta di sapone da bucato avvolto da un capello e inserito nell’ano serviva per stimolare i neonati a defecare; il decotto preparato con la malva, che essi stessi raccoglievano e facevano seccare, serviva per curare la tosse; il sale caldo, messo in un sacchetto, veniva usato per curare la tosse o alleviare i dolori reumatici.
Abbiamo capito che i nostri nonni, pur essendo analfabeti o semianalfabeti, diventavano degli abili speziali nel preparare unguenti e impiastri vari che non solo erano molto efficaci, ma non avevano effetti collaterali.
E’ stato un piacere fare le interviste alle nonne che con tanto impegno hanno scavato nella loro memoria per spiegarci nei minimi particolari quello che noi volevamo sapere.”
Zibaldone sammarchese
Dalla Prefazione di Cosma Siani
“C’è più di una ragione per guardare con simpatia a lavori come questo. La principale è riassunta in un aforisma anglosassone che tutti noi insegnanti dovremmo avere bene in mente, e che in italiano suonerebbe così: “Dimmi, e dimenticherò; mostrami, e saprò; coinvolgimi, e apprenderò”. La prima tesi si riferisce all’insegnante che parla dalla cattedra: il modulo di lezione a cui tutti, giovani e meno giovani, siamo stati abituati. La seconda è quanto meno pratica: ti faccio vedere come si fa, e poi saprai fare anche tu (che tale assunto sia vero o no). La terza via è quella in cui l’insegnamento si fonde con l’apprendimento perché ha luogo attraverso il lavoro dei discenti. In questa prospettiva, l’insegnante non è più solo colui che “trasmette” conoscenze, ma anche la persona che predispone, organizza e assiste un progetto di lavoro eseguito dagli studenti.
La differenza fra i tre punti di vista risalta alla luce di un esempio. Se voglio insegnare a suonare uno strumento musicale, diciamo il piano, crederemmo mai sia sufficiente che io “dica” ai miei allievi come è fatto lo strumento, come si formano gli accordi sulla tastiera, come vanno armonizzate mano sinistra e destra, come vengono scanditi i ritmi? Oppure che mi sieda al piano, ed eseguendo io stesso, “faccia vedere” come si realizza tutto questo? No di certo. Per arrivare a suonare, gli allievi dovranno “fare” essi stessi, mettersi al lavoro sullo strumento ed esercitarsi per un tempo più o meno lungo.
Valore di esercizio in tal senso ha la ricerca promossa e monitorata da Grazia Galante con i suoi alunni di 2a G e condensata in questo opuscolo....”
Roma, maggio 2007 Cosma Siani
Breve storia della scuola post - elementare a S. Marco in Lamis
Dalla Presentazione di Raffaele Cera
“Delineare e scrivere una sia pur breve storia di una Scuola significa fare una piccola operazione che sta tra la cultura e la sociologia, con risvolti anche di natura politica ed economica. Né questa deve sembrare un’affermazione esagerata ed enfatica perché una Scuola nell’ambito di una cittadina, che ha visto oscillare la sua popolazione nel corso dei decenni tra i 15.000 e i 20.000 abitanti, rappresenta una realtà molto importante per la sua vita comunitaria.
Ecco perché questi lineamenti, che danno conto di come è nata e poi si è sviluppata in San Marco in Lamis l’attuale Scuola Media Statale “Francesca De Carolis”, sono estremamente significativi e va data lode a chi ha avuto l’idea e poi l’ha realizzata attraverso un lavoro di ricerca e di analisi dei dati e delle notizie non facile ove si consideri che non sempre gli archivi delle diverse Istituzioni sono in ordine e quindi facilmente consultabili.
Le pagine che abbiamo davanti e che documentano con apprezzabile chiarezza e linearità questa storia della Istituzione scolastica sammarchese, sono, pertanto, uno strumento prezioso per capire un lungo periodo della nostra storia, guardato attraverso un osservatorio non secondario come quello scolastico, che è in grado di decifrare l’andamento della comunità sotto molteplici profili....”
Raffaele Cera
© Copyright 2013-2016 · Grazia Galante · All Rights Reserved